E adesso piantiamola! | Stefano Soldati e la Food Forest

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E adesso piantiamola! | Stefano Soldati e la Food Forest

Per qualcuno la Food Forest non è altro che un grande orto condiviso. Ciascuno dedica un po’ del suo tempo per coltivare il terreno e poi, tutti insieme, per raccogliere i frutti, le fibre, i combustibili e le medicine che restituisce madre natura. Per altri è il modo migliore per ottenere il massimo dei risultati con il minimo sforzo. Adesso ci stanno provando a Pietrasanta, nella provincia di Lucca, su un terreno incolto all’interno di un quartiere residenziale messo a disposizione dal Comune. A coordinare l’iniziativa ci stanno pensando l’agronomo Stefano Soldati e l’associazione Luogo Comune, a cui è stato affidato lo spazio per i prossimi due anni. Gli alberi scelti sono meli, peri, susini e pruni selvatici antichi, gelso, giuggiolo, corniolo, sorbo e tiglio. A cui si sono aggiunte le donazioni di susine, rose antiche, nespoli, noccioli, corbezzoli, sambuco, ciliegio, melograno, fichi, salici e perfino avocado. Funzionerà? L’entusiasmo nel giorno della piantumazione suggerisce di sì. Se ne parlerà fra un paio di anni, quando inizierà la raccolta e i sorrisi si allargheranno.

Stefano Soldati, che cos’è la Food Forest?
«Abbiamo la fortuna di collaborare con il Comune di Pietrasanta che ha individuato il terreno in una zona centrale del territorio. Qui con la gente del posto piantiamo alberi da frutto per l’autoconsumo».

Ci sono casi in Italia di Food Forest di successo?
«Sì ci sono, anche se non credo su terreni pubblici».

Ma…
«Ma sarebbe auspicabile che la gente si muovesse per chiedere ai comuni terreni abbondanti, non lottizzabili ed edificabili. Le amministrazioni si libererebbero di un peso perché questi spazi necessitano di manutenzione e hanno dei costi. E i cittadini potrebbero gestirli a livello popolare per il bene della comunità e non dei singoli privati».
 
La partecipazione è la parola chiave per la buona riuscita di una Food Forest e per la rottura dello schema mentale “a ognuno il suo orticello”…
«Certo, ed è assolutamente determinante. Stiamo parlando di beni comuni e dell’idea della loro riappropriazione e della fruizione da parte di tutti. È pur vero che ciascuno di noi può farsi una Food Forest tutta per sé».

Lei ce l’ha?
«Sì, ma non è recintata».

E se vede una persona che raccoglie la frutta?
«La incontro per chiacchierarci e scambiare due parole».

Quale consiglio per chi vuole realizzare la sua piccola Food Forest?
«Piantiamo, piantiamo, piantiamo. Ci sono tanti suggerimenti sui criteri da seguire e su come ottimizzare e abbinare le piante. Seguire un corso è sempre una buona idea. Tuttavia non è questo il passaggio chiave. Siamo in ritardo: il momento migliore per piantare è… 20 anni fa. C’è un gap generazione durante il quale ci sono stati molti tagli e poche piantumazioni. Adesso dobbiamo noi farci carico di questa responsabilità e piantare molto di più di quanto abbiamo bisogno per lasciare ai nostri figli una natura migliore».

Cosa intende quando ripete negli incontri pubblici che la natura è la prima della classe?
«Che dalla natura si può copiare. La natura è brava, non sbaglia e sa cosa fare. Non ha mai problemi e quelli che ha sono stati creati da noi. Ha un equilibrio dinamico e mai statico ed è in grado di produrre in un modo impossibile da replicare da parte dell’uomo».

Fra uomo e natura si stipula un patto, ma spesso viene disatteso dallo stesso uomo nel nome dello sfruttamento…
«Sì ed è un concetto chiave. Sfruttare vuole dire togliere i frutti ovvero togliere senza dare. Può andare bene nel caso di una miniera o di un giacimento di petrolio, ma non quando si ha a che fare con la terra. Negli ultimi decenni le abbiamo tolto la fertilità mentre dobbiamo cambiare il paradigma e ricreare situazioni rifacendoci a modelli naturali. Questa è la Food Forest».

C’è un legame fra la Food Forest e la costruzione di case in paglia di cui lei è punto di riferimento per l’Italia?
«Sì, si chiama Stefano Soldati (ride, ndr)».

Sono le due facce della medaglia di una società alternativa, più autosufficiente e meno omologata?
«Forse sì, anche se a dire il vero nelle case in paglia vivono anche persone fortemente consumistiche. Credo che di fondo ci sia la voglia di fare cose intelligenti. Con la Food Forest consegui un ottimo risultato con il minimo sforzo. Costruire una casa in paglia con materiali naturali vuol dire avere il massimo del comfort abitativo e dell’efficienza energetica e in contemporanea il minimo impatto ambientale. Di solito chi mangia ha bisogno di una casa per cui le due cose possono andare insieme».


RIFERIMENTI:

Azienda Agricola La Boa

Tra Terra e Cielo
Tra Terra e Cielo
Abbiamo la convinzione che il cambiamento del pianeta nasca all’interno di ognuno di noi, dall’attenzione che poniamo al cibo che scegliamo, dalla qualità delle relazioni che intratteniamo con il mondo esterno e con noi stessi/e, dal tipo di benessere che ci doniamo.

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