Perché Esselunga e Coop finanziano la scuola italiana?

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Perché Esselunga e Coop finanziano la scuola italiana?

Scatolette ammaccate, pacchi e pacchetti sgualciti, banane sempre un po’ verdastre, pomodori sospettosamente rubicondi, verniciati di fresco… Sfilano tutti così, davanti ai miei occhi, spintonandosi l’un l’altro, tutti i prodotti variopinti e chiassosi che mi sono trascinato fin sul nastro trasportatore. Che inesorabile, li spinge dritti dritti nelle sapienti mani dell’annoiata cassiera di turno, a uno a uno marchiati da un inesorabile beep. Ha la tessera? Servono sacchetti?  Due. Anzi: tre, grazie! La solita routine della spesa al supermercato, insomma.

Poi, improvvisa, fa il suo ingresso la “novità”. Voce impostata, finta cortesia da vero commerciante: ecco i buoni! Li consegni pure alla segreteria della scuola di suo figlio. Serviranno a comprare le attrezzature didattiche necessarie.

E così, come per magia, le lavagne e i registri, le apparecchiature per i laboratori, i computer, tutte le cose di cui, da tanti anni, soffriamo la mancanza, ora compariranno magicamente nelle nostre aule. Pagate dal mio affezionato supermercato!

Mia moglie li afferra un po’ incerta, li ficca rapidamente in borsa guardandomi con serietà. Sa fin troppo bene, lei, cosa penso di tutta sta storia. Perché in effetti, c’è poco da dire. Possibile che nessuno si renda conto del pericolo che incombe? Che nessuno intuisca come queste aziende, che ormai così prepotentemente entrano in settori pubblici “delicati” come quelli della Sanità o della Scuola, costituiscano un rischio enorme per quel che resta della nostra democrazia, per le pari opportunità e la libertà delle persone? I signori X fanno più spesa dei genitori di Y perché se lo possono permettere. Dunque, contribuiscono di più al miglioramento della scuola. Trattatemelo bene, il loro figliolo! Con un occhio di riguardo, mi raccomando! Se il nostro istituto adesso ha un laboratorio di Scienze, è più merito loro, che dei signori Y, che – da pezzenti – si servono al Discount. No? Possibile che non ci si chieda cosa spinga Coop o Esselunga a finanziare le scuole? Quali obiettivi di profitto? E con quali soldi? Non vien da pensare che quei buoni scuola saltino fuori da un generalizzato ritocco all’insù dei prezzi? Non vien da riflettere sul fatto che, quindi, le nostre scuole le si stia ristrutturando noi, da bravi “cittadini-consumatori”? Con tutte le tasse che paghiamo per godere di un servizio pubblico “gratuito”, con tutti i ticket sanitari che aumentano di giorno in giorno, con le centinaia di euro di contributo volontario obbligatorio che siamo subdolamente costretti a pagare quando iscriviamo a scuola i nostri figli, con tutto ciò, voglio dire, le nostre aule e i nostri ospedali li stiamo rattoppando coi soldi che ogni giorno spendiamo, facendo la spesa. No?

Li sento già, tutti quanti, gridare al complottista. Ma che problema c’è? Non è stato proprio il Ministero a dichiarare che i soldi pubblici non basteranno mai a provvedere al fabbisogno della scuola? E allora meno male che ci pensa la Coop, no?

Siamo davvero sicuri che i soldi privati facciano così bene al “pubblico” ed alla collettività? Qualche settimana fa mi sono avventurato nella lettura di The China Study. Dirompente, impressionante! Uno studio capillare, monumentale, fondato su decine di migliaia di dati empirici, che dimostra come le proteine animali in eccesso (a differenza di quelle vegetali) possano esercitare un ruolo determinante nella proliferazione dei tumori. Dieta vegana, ecco l’unica vera, efficace risposta. E non solo al tumore: al diabete, alle malattie auto-immuni, alle cardiopatie, alla leucemia. Colin Campbell, lo scienziato che così diligentemente, così coraggiosamente, ha condotto gli studi di cui parla nel suo importante saggio, si dilunga proprio sull’influenza che, in America, le case farmaceutiche e le aziende alimentari esercitano sulla ricerca scientifica, sulla formazione dei medici e l’educazione alimentare e sanitaria dei cittadini, sulle teorie nutrizioniste a cui la gente quotidianamente si affida. Risultato? Tutte le sue ricerche boicottate alla grande, a fronte di un continuo lavaggio del cervello dell’opinione pubblica: la carne fa bene, il latte fa bene, una dieta esclusivamente vegetariana non è sufficiente al nostro fabbisogno quotidiano, ecc. La teoria Campbell, insomma, non fa bene. Soprattutto ai bilanci delle multinazionali. Non fa bene a Coca-Cola, a Nestlè, a Mac Donald, ai grandi produttori di carne..

Il 30 marzo scorso Fabio Volo, a Radio Deejay, proprio citando Campbell ha avuto l’ardire di sostenere: il latte fa male. Ha detto proprio così, Volo, collegando il consumo di caseina alla progressione del cancro, così come Campbell sostiene. Ebbene, in men che non si dica si è trovato addosso il Presidente di Assolatte Giuseppe Ambrosi, che ha minacciato querele milionarie alla direzione, con conseguente dietrofront dello stesso dj.

Come vanno, allora, le cose da noi? Come funziona l’educazione alimentare nelle nostre scuole? Chi sta dietro la cosiddetta Educazione alla Salute da qualche anno così in voga nei nostri istituti pubblici?

Ebbene, sappiate che in prima linea nell’educazione scolastica ad una sana alimentazione risulta esserci una Fondazione chiamata Food Education Italy. Nel 2011, istituendo il Comitato Tecnico Scientifico Scuola e Cibo, il MIUR ha di fatto affidato a questo gruppo, affiancato da altri esperti, l’Educazione alimentare nella Scuola statale. All’interno del Comitato Scuola e Cibo possiamo trovare noti nutrizionisti, a cominciare dalla Presidente FEI Evelina Flachi, docente di Nutrizione per il benessere all’Università di Milano, nonché partecipante al “Tavolo dell’Educazione Alimentare“ della CARTA DI MILANO per EXPO (avevate qualche dubbio?) e membro del Tavolo EXPO SALUTE e del Tavolo EXPO AGROALIMENTARE. Ma tra un tavolo e l’altro, si muovono anche imprenditori come Riccardo Garosci, Forza Italia, già consigliere delegato di Federdistribuzione (nel cui comitato esecutivo spiccano, tra gli altri, marchi come Carrefour, Bennet, Pam, Selex, Esselunga e Auchan), attuale presidente della Commissione ministeriale per l’educazione scolastica alimentare, sì, ma anche ai vertici – così come tutta la sua potente famiglia, un tempo titolare dei supermercati VèGè, poi venduti a Carrefour – della Casa editrice Largo Consumo (ex Cash and Carry), che pubblica l’omonima rivista di alimentazione. Troppi interessi in gioco, pensate? Che dire allora di Giorgio Antonio Arturo Donegani, che di Food Education Italy è l’ex presidente, ma che attualmente è membro dell’Osservatorio Nestlé (la Nestlè, sì: proprio lei; quella delle ripetute infrazioni al codice alimentare dell’OMS, quella che nel 2002 ha addirittura fatto causa all’Etiopia, uno dei Paesi più poveri del mondo, chiedendo un risarcimento di 6 milioni di dollari), nonché del comitato scientifico di Wise Society, magazine diretto dall’editrice Antonella Di Leo, proprietaria di Life Solutions Wisdom ma anche ex direttore marketing della Edilnord (sì, avete capito bene: la mitica società immobiliare di Berlusconi!), attualmente alla guida del settore marketing del Gruppo Paolo Berlusconi (non più, ndr) e già account supervisor di Livraghi, Ogilvy & Mother, una tra le più grandi agenzie pubblicitarie del mondo, che tra i suoi clienti vanta (ma dai?) Coca-Cola e Nestlé.

E’ questo, insomma, il Comitato scientifico che dovrebbe insegnare ai nostri ragazzi, in maniera “indipendente”, il corretto modo di alimentarsi? Certo, vi fanno capolino autorevoli esperti come il nutrizionista Paolo Paganelli, ma anche nomi di studiosi forse un po’ meno “disinteressati”, come Cristiano Federico Sandels Navarro, professore universitario ma anche project & business manager presso il Gruppo Gate14 (che si occupa anche di ristorazione), di proprietà dell’imprenditore Mauro Cervini, il quale, tra i molti incarichi, ricopre anche quello di amministratore delegato del Gruppo Montenegro (in mano alla potente Simonetta Seragnoli), che oltre a produrre il noto amaro, controlla Brandy Vecchia Romagna, Olio Cuore, Camomilla Bonomelli, Thé Infré, Polenta Valsugana, Pizza Catarì, Spezie ed Erbe Aromatiche Cannamela. E c’è Francesco Leonardi, dietista ma anche membro del CdA di ADI Onlus, società legata a doppio filo (e ci risiamo) con l’Osservatorio Nestlè. O la partecipante onoraria Anna di Vittorio, insegnante e ricercatrice, ma anche scrittrice di un sacco di testi sull’alimentazione rigorosamente editi dalla Coop. Libri come: Educazione al consumo consapevole: le proposte Coop, uscito nel 1998. Per non parlare di chi figura tra i “Donors” della nostra FEI. Come non notare, ad esempio, la presenza dell’Abbott Laboratories, il colosso farmaceutico di Chicago che ha sedi e stabilimenti in tutti i continenti e che tre anni fa è finito alla sbarra, costretto a sborsare 1,6 miliardi di dollari (comunque non più del 4% del suo bilancio annuale), per aver commercializzato l’antiepilettico Depakote, risultato poco efficace ma, soprattutto, rischioso per la salute?

I soldi privati nella cosa pubblica? Un problema enorme, altroché! Perché mai uno Stato sovrano (ma è proprio questo il punto, no?) dovrebbe delegare alle multinazionali il finanziamento della sua Istruzione o della sua Sanità? Perché non può sovvenzionare direttamente questi delicati settori?

Chi ci può aiutare davvero a comprendere, insomma, quale sia l’alimentazione più corretta e sana da adottare per noi e per i nostri figli, se a insegnarlo a scuola sono proprio quegli stessi individui che con il cibo – soprattutto certo cibo – costruiscono i loro giganteschi imperi finanziari?

Abbiamo ancora una possibilità di accedere alla verità, nell’era dell’informazione?


Pietro Ratto


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