«Sono diventato un artista camminando nelle foreste»

Viaggiare a piedi: l’importante è cambiare direzione
12/02/2016
Se è il cibo a creare nostalgia. Quali sostituti?
14/02/2016

«Sono diventato un artista camminando nelle foreste»

Lo incontriamo a Piazza San Martino a Lucca. Vicino al Duomo che conserva le spoglie di Ilaria del Carretto, vicinissimo alla sua installazione artistica a cui ha dato il nome Una domanda che cammina (leggi qui il racconto dell’esperienza). Valerio Rocco Orlando, 37 anni, è un artista. Anzi, un artista contemporaneo, nel senso che coglie l’ispirazione dal qui e ora, dalle urgenze e dalle inquietudini dell’oggi. Non è forse un caso che nel corso della nostra conversazione all’aperto abbia cercato sempre il sole, quel raggio che anche a gennaio, se vuole, riesce a riscaldare la pelle e a rassicurare l’anima. E così, tra le strette di mano e la curiosità dei passanti, più volte ci spostiamo nel corso dell’intervista tra un cantuccio illuminato della piazza a un altro. Nessun capriccio, Valerio è semplicemente un artista con i sensi sempre attivi. Per lui, come ci racconta, l’andare a piedi ha giocato un ruolo decisivo nella sua formazione.

Cos’è Una domanda che cammina?
«Il titolo di un’opera d’arte pubblica temporanea di una giornata. L’installazione avviene generalmente nei giorni festivi o di domenica, quando le persone hanno più tempo per fermarsi e oziare nel corso del loro cammino quotidiano. La mia idea di arte pubblica è di creare un luogo per consentire confronto e dialogo».

Da dove nasce questa idea?
«L’ispirazione mi è arrivata proprio dalla città di Lucca ed esattamente dal labirinto scolpito sopra una pietra del porticato di fronte all’ingresso della cattedrale di San Martino. Rappresenta l’impervia via della vita ovvero la difficoltà a trovare la propria strada, ma anche la facilità nel perdersi. Tutti noi siamo in cammino e a un certo punto se il destino ci porta a incontrare un’altra persona, come nel caso di Una domanda che cammina, abbiamo la possibilità di sederci, fermarci, sostare e aprirci a un momento di raccoglimento e di meditazione».

Una pausa, insomma…
«Sì, una pausa nel cammino e nella quotidianità di ognuno di noi».

Cosa c’è all’interno della tenda?
«Un salottino comodo nel contesto di uno spazio altro e inframmezzato. E soprattutto uno sconosciuto con cui poter aprire un dialogo e un confronto intorno ai temi del pellegrinaggio e dell’ospitalità. Chiedo a ogni ospite che attende i partecipanti di portare una domanda con sé legata al proprio vissuto, al momento storico e alla società in cui viviamo oggi».

Quindi cos’è Una domanda che cammina?
«Una metafora dell’arte, la possibilità di scambiarsi domande. Anziché essere io a rispondere, preferisco ospitare persone sempre diverse con cui far dialogare chi entra nella tenda. Nulla viene registrato e nessuna foto viene scattata. Dall’interno si continuano a percepire i suoni e i rumori che arrivano dall’esterno».

Chi c’è nella tappa di Lucca?
«La poetessa Daniela Attanasio, una delle voci contemporanee più importanti. Si caratterizza per la concretezza e la quotidianità della sua poesia. Non è un caso che l’ultima sua raccolta si intitoli vicino e visibile. Di fatto è il contrario di quanto ci si immagina da una poetessa. Questo è molto vicino alla mia idea di arte».

Cosa succede alla fine della giornata quando l’installazione sparisce?
«Chiedo ai miei ospiti di scrivere una lettera sulle risposte raccolte in questo viaggio. Per me, tuttavia, la risposta sta già nelle domande. L’aspetto più importante è mettere in dialogo le urgenze legate alla quotidianità della società contemporanea. Non si tratta chiaramente di trovare una soluzione definitiva, ma di sensibilizzare i partecipanti a interrogarsi anziché rispondere. Anche il silenzio ha il suo significato».

Tiri sempre in ballo l’ospitalità…
«Sì, perché questo è un lavoro sull’ospitalità. Io stesso, anziché stare all’interno, ospito una persona».

Perché chiedi di togliere le scarpe prima di entrare?
«Perché rende l’esperienza più intima».

Sei un camminatore?
«Non guido e gambe e bicicletta sono i mezzi con cui mi muovo. Ho vissuto molto all’estero in luoghi molto diversi: India, Corea del Sud, Cuba, Islanda, sempre come residente ospitato e insegnando arte. Il cammino fa quindi parte integrante del mio essere, inteso anche come continui spostamenti».

In questi luoghi è stato capito il valore dell’arte contemporanea?
«Non è presente nella quotidianità della vita ma la mia presenza fisica è stata utile. Il cammino mi ha consentito di raggiungere comunità che vivono nella natura e di insegnare in scuole costruite nella foresta, come la Valley School a Bangalore, in India. Fondata dal filosofo indiano Krishnamurti, gli studenti non stanno seduti davanti a un banco, ma imparano attraverso il dialogo e il confronto camminando nella foresta. Così il cammino è diventato per me un valore nella produzione artistica. Gli incontri sono stati decisivi per la mia formazione e per incontrare ho dovuto camminare».


Che ne pensi? Scrivi nello spazio commenti qua sotto o mandaci una mail a redazione@traterraecielo.it

Tra Terra e Cielo
Tra Terra e Cielo
Abbiamo la convinzione che il cambiamento del pianeta nasca all’interno di ognuno di noi, dall’attenzione che poniamo al cibo che scegliamo, dalla qualità delle relazioni che intratteniamo con il mondo esterno e con noi stessi/e, dal tipo di benessere che ci doniamo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.