Il cielo si apre, il sole illumina la città, 29 giorni di strada, 11 in bici e 18 a piedi, da Canterbury a Roma, lungo la Via Francigena. Sono i giorni che rendono l’uomo un pellegrino. E’ l’incipit della storia raccontata da Matteo Caccia, conduttore della trasmissione Voi siete qui, in onda su Radio 24. Questo è il racconto di Bruno, 37 anni, di Nembro (Bergamo), impiegato nella grande distribuzione commerciale, in cammino nei giorni della tesi di laurea sulla Via Francigena: “Sono partito come un viaggiatore e sono tornato come un pellegrino“. Poi c’è anche la storia di Werner Herzog, regista tedesco, quello che il 23 novembre 1974 inizia il suo viaggio a piedi da Monaco di Baviera a Pria e che nella dichiarazione del Minnesota afferma: “Il turismo è peccato e viaggiare a piedi virtù“.
Un gesto elementare come il camminare diventa per Herzog uno strumento di conoscenza profonda, diventa scoperta degli agenti atmosferici, delle bufere, della neve e della pioggia. Diventa la scoperta del passare del tempo, della luce e del buio, del cercare un tetto per proteggersi e un letto per riprendere le forze. Diventa la scoperta del bisogno di cibo e di acqua, la scoperta del confronto con le proprie paure. Viaggiare a piedi, da solo, diventa per Herzog lo strumento per scoprire cosa significhi, nel profondo, essere un uomo.
Già, perché viaggiare è nel destino dell’uomo. Lo spostamento da una parte all’altra, sia fisico che attraverso l’immaginazione, è la vita stessa. E l’uomo ancora oggi sente il bisogno di viaggiare a piedi, anche se è il più anacronistico dei gesti possibili.
E Bruno? Passo dopo passo, è entrato nello spirito del viaggiare a piedi, dove il tempo scorre tra i piedi e l’asfalto, lento e silenzioso, protagonista di un’avventura infinita. Il tempo è attraversato dall’uomo, prima ancora di entrare in immensi paesaggi, città o relazioni. Viaggiare con le proprie forze per centinaia di chilometri significa essere ospiti del tempo e della storia. Bruno lo sa bene: “Ho scoperto il bello dell’essere pellegrino nel momento in cui ho capito che essere pellegrino è entrare nel significato delle cose, incontrare le persone con uno sguardo un po’ più profondo e riuscire a leggere il vissuto come esperienza che si porta dentro per tutta la vita e va oltre il viaggio stesso“.
La notte prima di partire un soffio di agitazione percuote il corpo. Sono brividi e la mente non lascia dormire: “In un viaggio molto lungo c’è molto tempo per pensare e per incontrare persone e lasciarsi scoprire un po’ da loro“. Essere pellegrino significa essere straniero. Significa affidarsi alla strada che si percorre e ai suoi volti.